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Calima

Quando arriva Calima, cambia il clima. Calima scombina i piani degli isolani. Non passa in porto per fermarsi ma per volar via. Sull’isola c’è una sibilla che annuncia, qualche giorno prima “Gente! Gente! Arriva Calima! Nulla apparirà come prima”. 

Le isole. I porti delle isole. La gente dei porti delle isole. Sembra sempre uguale. Abitudinaria. Consueta come un’alba cui non si presta più attenzione. Panni stesi. Finestre ampie. Salsedine nell’aria. I ritrovi quotidiani nei ristori fanno sentire tutti meno soli. Le risate per battute ripetute e sbattute con le mani grosse sui tavoli sono suono noto. Noto, anche il frastuono di risacca. Sbattuti i pesci muti sugli scogli. Farli morire senz’agonia. Mangiarli per il gusto della compagnia o imbalsamarli in un gusto che può apparire di poco gusto. Pance gorde di pescatori schivi si scoprono piene. 

Gli avventori. Gli avventori di passaggio. Gli avventori di passaggio sulle isole. Sono sempre diversi. Silenziosi, cortesi, solitari. Ognuno ha un suo motivo per viaggiare, oppure non ce l’ha. Qualcuno guarda il mare o le rocce o la riga imperfetta dell’orizzonte o la cameriera stanca di servire. 

Quando Calima arriva, cambia l’orizzonte degli eventi. Si alzano i venti. Calima corre forte, attraversa ogni stradina, costringe l’avventore a fermarsi un giorno in più. Poi d’improvviso, senz’avvisare, Calima se ne va. E tutto per gli isolani torna come prima. E nulla per gli avventori è come prima. Prima di lasciare l’isola, lasciare sull’isola lo sguardo. 

Calima sa che l’isola ha molti più abitanti di quanti se ne possano incontrare. 

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