Metàluna
Mentre la marchesa spalancava le finestre del suo palazzo incastonato nel cuore della città e si specchiava nel cielo rifacendosi il trucco, Mr. Parkinson studiava nei sotterranei bui una formula per annientare il virus che stava sterminando gli umani.
Mentre un bambino fissava una foglia cercando pace, una ragazza con la valigia si perdeva nel bosco senza cappuccio rosso.
Mentre un felino si carezzava il manto sotto l’incanto stellato di una metàluna, nel teatro del Silenzio lo spettacolo stava per iniziare.
Nobile. Nobile in stile e gentilezza. Nobile nel candore delle vesti e nell’eleganza dei gesti. Nobile nell’eccentricità che è consentita a un nobile. La scelta dei custodi, per esempio. Il primo custode che aveva scelto, era un ragazzo tutto casa e chiesa. Molto preciso e premuroso. Morigerato, discreto, silenzioso. Una volta ripristinato il quieto vivere e soddisfatti i gusti di colei che amava cambiar gusto adattandolo al suo vivere inquieto, la marchesa lo sostituì. Il secondo custode era paesemente brasiliano e palesemente gay. Aveva sopracciglia curate, mani lisce, l’irruenza tipica del sole e bello come il sole entrava in stanze, bagni, corridoi senza chiedere permesso. Il sorriso era così sincero che non gli si poteva far ammenda. Oltre a queste bizzarrie di servitù, nel palazzo della marchesa, si narra, ci fossero sotterranei segreti. Sotterranei e segreti. Erano stati costruiti in tempi di guerra per portare pace. Che la si trovasse almeno sottoterra.
Mr. Parkinson. Mr. Parkinson scrisse in fretta l’indirizzo del suo nascondiglio su un foglio. Non c’era più tempo da perdere. Il mondo aveva bisogno della cura. E lui, dopo mesi concentrati di studi e ricerche, l’aveva trovata. Infilò il foglio in tasca e salì dai sotterranei, dove tutto sommato aveva trovato pace, per cercare qualcuno in grado di aiutarlo a risolvere un ultimo problema che era emerso in superficie.
La ragazza con la valigia. La ragazza con la valigia viaggiava solitaria. La valigia che portava con sé, si riempiva di giorno e si svuotava di notte. Ogni mattina, quando l’apriva, la trovava vuota. All’inizio se ne stupiva. Si domandava dove andassero a finire tutti quei pezzi di storia raccolti durante il viaggio, ma poi aveva imparato che le storie non restano mai ferme per troppo tempo ed era questa la bellezza del suo viaggiare. Raccogliere e lasciar andare.
“Posso lasciarlo solo a Mezzanotte, posso lasciarlo solo a Mezza, posso lasciarlo solo a Me”, ripeteva a Sé la marchesa vestita di bianco, traballante sui tacchi, un dente spezzato, un bambino mai nato tra le braccia. E camminò nella notte com’era solita fare di giorno, ma di notte ci si perde e andò a finire che si perse davanti a un teatro. Il teatro del Silenzio.
Lascia cadere la marchesa il suo fardello che la ragazza raccoglie nella valigia.
Il bambino si avvicina a Mr. Parkinson e, porgendogli una foglia, gli dice preoccupato “Io ho un problema. Devo trovare la mia pace”. Mr. Parkinson si piega verso il bambino e, consegnandogli un foglio, gli dice sollevato “Io ho risolto il problema. Ho trovato la tua pace”.
Nel teatro del Silenzio due felini si carezzano il manto chiudendo lo spettacolo di una notte di metàluna, lucente come la vita e oscura come la fortuna.