Fermo
Fermo. Fermo come il caldo d’estate. Fermo. Tra il mezzogiorno e le tre. Tutto è fermo. Compreso tu. Disteso sul divano. Guardi la stanza. Fermo. Tutto è fermo. Tranne la luce. Una luce limpida che gioca con gli oggetti della casa mostrandoti tutte le geometrie e le loro perfette proporzioni. Non c’è contatto con l’esterno. L’unica porta è la finestra. È da lì che arriva la luce. A parte la luce, non fa entrare altro. E tu neppure. A parte la luce, non fai entrare altro. La vita, i pensieri, quello che potresti fare, quello che vorresti, le idee. Tutto rimane fuori. Nella stanza ci sei tu, un corpo geometrico tra altri corpi geometrici. Lasci che la luce giochi a fare quel che vuole. La luce racconta la sua storia disegnandola sulle pareti della tua stanza.
Dita di matita lasciano danzare la gravidanza senza toccare. Solo sfiorare di passi e sguardi che non passano senz’arrestare l’inevitabile esplosione di luce che scuote le leggi del mondo. Non c’è legge che possa fermare un guizzo d’energia. Poi tornerà la gravità. Poi. Ma ora, danza. La danza sia. Gravidanza. Le forme di altri pianeti entrano in questo. Gravità. Concavità convesse e convessità concave si disegnano in un filo d’amore che s’allungherà fino al punto e a quel punto scomparirà. Come la danza della matita. Danza la gravidanza. Tornando al punto di gravità.
Solo dopo, quando ti desti, ricordi che tante volte da bambino t’è capitato di star fermo. E la luce raccontava le sue storie disegnandole sulle pareti della tua stanza. E tu, nella sua danza, le stavi ad ascoltare. Fermo. Fermo come il caldo d’estate. Fermo.