Impiegata
Sì, ammetto che avrei potuto immaginarlo. Ma all’epoca non sapevo cos’altro fare. E poi la sicurezza. La comodità della poltrona girevole. Mi dicevo, passerà in fretta. Sono passati 30 anni e sono ancora seduta sulla poltrona girevole, nell’immobilità del mio ufficio. Fuori la gente è costretta a cercare lavori di fortuna. Io ho la fortuna di avere un lavoro sicuro. Sicuro! Mi lamento. So che non dovrei. Mi lamento perché la sicurezza stanca. Mi lamento. So che non dovrei. Mi lamento perché la poltrona girevole mi fa girar la testa. Mi lamento. So che non dovrei. Mi lamento perché le giornate sono scartoffie tutte uguali da vidimare e le notti sono scartoffie tutte uguali da cercare di dimenticare. Non ci riesco. Di notte, il mio letto si riempie delle stesse scartoffie. Le lenzuola s’irrigidiscono. Le coperte s’infeltriscono. Il cuscino è un desktop di incubi che si susseguono. Cerco di muovere il mouse con le mani per eliminare cartelle e far spazio ma non trovo il cestino. Sarebbe tutto da buttare. Mi ci butterei anch’io. Caduta libera senza sapere chi – qualcuno? – o cosa – un cestino? – mi raccoglierà.
Un colpo di sonno. Una sveglia di suono. Chi sono. Devono essere state tutte quelle giornate passate a far passare carte e minuti in compagnia di Zuccarelli, il tecnico dell’energia. Deve avermi tolto tutta l’energia. Un black out improvviso mi sbilancia. Cado. Perdo carta d’identità, codici, accessi. Scartoffie. E ora che posso fare? Non ricordo più nulla. Ma non so dove altro andare. Torno al mio posto. E rimango ferma immobile a fissare lo spazio vuoto tra me e Me. Ma dove sono. Non ho più sonno. Non ho più senno. Quella chi è. Entra nell’ufficio. Sembra tranquilla, ma d’un tratto butta all’aria tutte le scartoffie. Ehi. Sono qui. Esci dal mio ufficio. Ma lei, niente. Sembra non vedermi. Credo non mi veda. Rimango impietrita. Sta rovinando tutto il mio lavoro e io ne sono complice. Nonostante voglia lanciarmi a raccogliere le scartoffie, non mi muovo. Sudata. In lacrime. Dovrò sistemare tutto quel caos. Ma non ricordo come si fa. Non ricordo nulla. La donna continua senza badare a me. Chiudo gli occhi per un istante. E mi lascio cadere senza sapere chi o cosa mi raccoglierà.
Zuccarelli attraversò il corridoio. Superò la prima porta. La seconda. La terza. Bussò alla quarta. Nessuno rispose. Abbassò la maniglia. Era aperta. Trovò l’ufficio completamente sottosopra. Scartoffie ovunque. L’impiegata era immobile seduta sulla poltrona girevole. Prendendole una mano, le consegnò le sua carta d’identità, i codici, gli accessi. “Si rimetta a lavorare ora e sistemi questo caos”. La donna iniziò a girare velocemente sulla poltrona. Il viso beato come quello di un bambino sulla sua giostra preferita. Si lasciò cadere senza sapere.
Mi sveglio di soprassalto. È tutto in ordine. Come ogni giorno, da 30 anni ad oggi. Devo essermi addormentata sulla scrivania. Tiro un sospiro di sollievo. Non mi lamento. Tutto a posto. Torno al mio posto. Questo è il mio posto. Non mi sposto.