Solo
Una sola porta. Un solo cassetto. Una sola lavatrice. Un solo specchio. Un solo tavolino. Una sola lampada. Un solo sgabello. Una sola pentola. Un solo sogno. Non essere più solo.
Mi siedo allo specchio e attraverso lo specchio esco dalla porta di casa. C’è vento. Amo il vento che spinge verso di me le persone. Sono costrette a guardarmi. Io non mi vedo mai. Guardo gli occhi di un bambino e lui mi abbraccia. Non so perché lo faccia. Lo guardo dritto in faccia e non glielo chiedo. Indossa il mio stesso colore giallo e non gli faccio paura. La paura è la vertigine degli adulti. Incontro un gabbiano che sorvola solo me. Forse, giallo come sono, crede io sia il sole. Mi distraggo e un uomo mi cade addosso. Andava di fretta e poi c’era il vento. Inciampato. Distratto. Confuso. Lo scuso.
Mi scusi.
Può rimanere un poco con me?
Rimane con le mani in mano a guardarmi e io con gli occhi negli occhi a guardare lui. Non abbiamo nulla da dirci ed è bello non dirsi nulla. Ci lasciamo. Andare.
Il vento sta calando e mi riavvio verso lo specchio quando la donna più bella che abbia mai visto, in bilico come una foglia gialla su una corda invisibile, lancia un grido muto. La invito a entrare dentro lo specchio attraverso la porta. Siamo arrivati a casa.
Mi scusi.
C’è confusione.
Cerco di sistemare. Chiudo il cassetto. Giro lo sgabello. Illumino la lampada con il mio miglior sorriso. Sono felice. E la felicità spalanca l’armadio in cui scintilla il sogno di ballare un solo istante con lei. Un istante solo.
Una sola pentola. Un solo sgabello. Una sola lampada. Un solo tavolino. Un solo specchio. Una sola lavatrice. Un solo cassetto. Una sola porta. Centoventisette coppie di calzini gialli sparsi ovunque come foglie di malinconico autunno. Per non sentirmi solo.
[dedicata a Leandre]