Cappello
Due piccoli cappelli giravano nella stessa direzione inseguendosi e non trovandosi mai, sulla circonferenza di un grande cappello. Disegnavano un cerchio perfetto. Dentro il cerchio, il centro di una barriera magnetica invalicabile. Intorno al cerchio, il circo in festa. Scorreva musica ambrata come birra dalle proboscidi vibranti dei tromboni e variopinti artisti girovaghi facevano roteare i loro cappelli su ogni parte del corpo nelle più insolite pose sceniche o uscire fazzoletti di guerra e pace dalle cupole come se fossero contenitori di una vita. Gente e confusione tagliavano trasversalmente la circonferenza perfetta del grande cappello invisibile. Senza accorgersi d’invadere una terra di confine. Nemmeno i due cappelli sulla circonferenza del grande cappello si accorgevano del loro moto. Soltanto un occhio esterno li osservava da una certa distanza. Giravano i pensieri nei cappelli. Densi, silenti e vorticosi. Perché sì, quanti pensieri può contenere una cupola! Tutti quelli di chi la indossa. E la musica andava. Metronomia disordinata di cori. Passi calzati in uno swing inarrestabile. Luminarie nella notte di pioggia intermittente. Caos di risa e gioia di colori. Sembrava tutto veloce se confrontato alla lentezza dei cappelli che in un festival tutto loro ovattavano il contenuto della roteazione. Un ultimo tripudio di canti e clamori, mani ciack e piedi toc e labbra smack e capelli shhhh e cappelli giù. Lo spettacolo è finito. Signori. Se lo spettacolo è piaciuto lasciate una moneta agli artisti che, abbassate le luci e chiuse le valige, imboccheranno una nuova strada. Tintinnare di denari e ultime parole in dissolvenza nella notte del mondo. Gli artisti ripresero ognuno il proprio cappello riempito di applausi e si rimisero in cammino. Allora, tra i due cappelli della circonferenza del grande cappello, si notò un vuoto cosmico incomprensibile come il fatto che il mondo per esistere abbia bisogno di girare intorno al sole. Né troppo vicino, né troppo lontano. Alla giusta distanza. L’occhio esterno diede un ultimo sguardo alla distanza e poi, accettando l’incomprensibile, abbassò il suo cappello sugli occhi.